Fra le aziende è corsa alle “Apps”. E gli uomini di marketing si trasformano in sviluppatori

Che vuol dire Apps? E’ l’abbreviazione di Applications, ovvero piccoli software per smartphone, gratuiti o a pagamento, scaricabili da negozi virtuali. Eseguono particolari funzioni oppure consentono di scaricare contenuti.

Che c’entrano le Apps con il marketing? Dice Allison Mooney, esperta di analisi dei trend per MobileBehavior, una società del gruppo Omnicom: “La verità è che i pubblicitari e gli uomini di marketing stanno entrando in un nuovo mondo, dove il software ha pari dignità con i contenuti. La pubblicità del 21esimo secolo non è qualcosa che si guarda, è qualcosa da usare. La nostra dipendenza dalle applicazioni per il telefonino ne fa un perfetto veicolo per i brand. I ‘consumatori’ diventano ‘utenti’. Gli ‘uomini di marketing’ diventeranno ‘sviluppatori’?”

Da Pepsi a Guinnes, da Tiffany a Zara, è già cominciata la corsa. Volkswagen Usa ha lanciato il nuovo modello GTI esclusivamente attraverso una iPhone app. Per il lancio del vecchio modello, nel 2006, avevano speso 60 milioni di dollari. Oggi al massimo 500mila.

Strategia limitata? Forse. Ma gli iPhone circolanti sono più di 60 milioni. E lo show tv più visto in Usa ne raggiunge 21. Costo di un singolo spot di 30″: 130mila dollari. E’ certo: far giocare i consumatori con il tuo brand vibra, comunicare mentre sono addormentati davanti alla tv non vibra per niente.

Anche in Italia c’è chi ci sta provando, come Barilla con la sua App “iPASTA”. L’averla lanciata a oggi è già sufficiente per trovare un benevolo spazio su Wired. Ma attenzione all’effetto Second Life: la corsa all'”isola aziendale” bruciò centinaia di migliaia di euro. Lo spazio per le App, sia fisico sulllo smartphone che mentale nella testa dell’utente è per forza limitata. Vinceranno solo le idee davvero virali. Dureranno solo le App che offrono un reale servizio. Ma vale la pena di provarci: costa meno che una manciata di passaggi in radio. E vibra di più.