La Teoria della Coda Lunga e il tramonto della ‘Regola 80/20′

Secondo Brynjolfsson, direttore del MIT Center for eBusiness e professore di Management presso la MIT Sloan School of Management,il mercato su Internet permette alle imprese di produrre e vendere una gamma molto più ampia di prodotti rispetto a prima. Questo cambia profondamente sia il comportamento del consumatore, che la strategia di business”[1].  “Internet è una macchina che sforna liquidità, perché offre a chiunque accesso [quasi] gratuito a un mercato di centinaia di milioni di persone. Poiché raggiunge così tante persone, può funzionare con tassi di partecipazione che sarebbero un disastro nel mondo tradizionale in cui i costi marginali non sono a zero”[2].

Anderson, ex giornalista dell’Economist e attuale direttore di Wired USA, spiega l’espansione del mercato per le imprese. È stato proprio lui a rendere popolare l’espressione Long Tail (Coda lunga) su un articolo apparso nel 2004 nella sua rivista[3]. “Quando la coda lunga uscì su Wired, nell’ottobre del 2004, diventò in breve tempo l’articolo più citato mai pubblicato dalla rivista.

Le tre osservazioni principali

1) la coda della varietà disponibile (su internet) è molto più lunga di quanto pensiamo

2) oggi è a portata di mano dal punto di vista economico

3) tutte quelle nicchie, se aggregate, possono equivalere a un mercato significativo

parvero incontestabili, soprattutto perché supportate da dati fino ad allora inediti.”[4] Secondo Anderson, infatti, pochissimi studiosi sono stati fin ora interessati ad analizzare il comportamento di imprese e consumatori, attraverso i molti terabyte di dati presenti nei database di Google, iTunes, Amazon, ecc.:  un’analisi che potrebbe mostrare chiaramente i trend che caratterizzeranno l’economia del XXI secolo.

Figura 1: La coda lunga è rappresentata dall’area più chiara sotto la curva.

Cerchiamo di spiegare cosa s‘intende per “coda lunga”. La coda lunga altro non è che una parte d’una distribuzione statistica, quella parte della distribuzione associata a una frequenza più bassa.

Nel 1897 Vilfredo Pareto scopriva come in Inghilterra la distribuzione della ricchezza fosse diseguale: circa il 20% della popolazione deteneva l’80% della ricchezza complessiva del paese. Confrontando il risultato ottenuto con altre nazioni, il rapporto restava più o meno lo stesso[6]. Nel 1949, George Zipf, linguista dell’università di Harvard, notava che lo stesso principio era applicabile al lessico usato dalle persone, alla frequenza d’uso delle parole nei testi.[7]

Questo tipo di distribuzione, chiamata in seguito anche distribuzione paretiana, power-law e, più tardi, regola 80/20, è stata applicata a quanto ci sia di più disparato: dalla statistica demografica ai processi industriali, finanche al rapporto tra i prodotti offerti e i ricavi di una singola impresa. Le distribuzioni power-law sono asintotiche, tendono a zero senza mai raggiungerlo: vuol dire che la curva continua all’infinito per questo è chiamata “curva a coda lunga”. Da qui deriva il nome della teoria.

Web business

Si è dunque scoperto che, per molti eventi, circa l’80% degli effetti provengono dal 20% delle cause.[8] La definizione classica della regola 80/20 riguarda prodotti e ricavi, così circa il 20% dei diversi compact disc offerti dai grandi magazzini Walmart in USA, rappresenta l’80% del totale dei ricavi.[9] Il successo crea successo (come per le hit) e la ricchezza crea ricchezza allargando la forbice sociale. Nel commercio, la coda lunga è una distribuzione power-law “che non viene brutalmente troncata da imbuti della distribuzione come spazi espositivi e canali limitati”[10].

Spieghiamoci meglio. Nel caso dei negozi fisici uno dei problemi principali risiede nel fatto che possono rivolgersi esclusivamente a un pubblico locale, così accade che degli ottimi prodotti che avrebbero avuto una domanda nazionale o internazionale abbastanza vasta, non ce la facciano a superare la barriera della distribuzione. Due esempi: i film di Bollywood che non riescono a farsi largo nelle sale statunitensi, seppur in America pare vivano complessivamente circa un milione e settecentomila indiani, e Appuntamento a Belleville, film candidato all’Oscar come miglior lungometraggio d’animazione nel 2004, elogiato dalla critica, ma comparso solamente in sei sale in tutti gli States.

L’offerta di prodotti s’interrompe nel punto in cui non ha più senso investire: nel caso specifico del cinema, questo accade quando, dato un pubblico non abbastanza ampio a livello locale, i potenziali ricavi non sarebbero in grado di coprire le ingenti spese di marketing, il pagamento delle star di turno e le spese per il contratto di distribuzione.

La domanda in realtà non s’interrompe, potrebbe continuare all’infinito in nicchie e sotto-nicchie; se alle persone è data una possibilità infinita di scegliere, queste lo faranno, sempre che esistano delle “guide” entro le quali muoversi, come le correlazioni di Amazon (Gli utenti che hanno comprato questo libro, hanno acquistato anche quest’altro), annoverabili tra quelli che Brynjolfsson chiama “strumenti di ricerca passiva”.[11]

“La vera forma della [curva di] domanda si manifesta solo quando ai consumatori è offerta una scelta infinita”.[12]

Circa il 25% delle vendite librarie di Amazon, riguarda titoli successivi ai 100.000 titoli più popolari. Non è una cifra da nulla: c’è un enorme mercato che le normali librerie non vendono e corrisponde a circa un terzo del mercato librario esistente.[13]

Stesso discorso per la musica. Rhapsody, servizio di streaming online, offre più di un milione e mezzo di brani ai quali si ha accesso grazie ad un abbonamento.

Il catalogo del rivenditore più grande d’America, Wal-Mart, conta circa 4.500 album musicali. Con le dovute conversioni da un mercato di album musicali a uno di singoli brani, possiamo stimare che i 4.500 album di Wal-Mart corrispondano a 25.000 singoli scaricabili da Rhapsody.[14] Duecento titoli dei 4500 offerti da Wal-Mart rappresentano addirittura il 90% delle vendite totali del grande magazzino, superando le stime della regola 80/20.

Se analizziamo la parte destra della curva di domanda invece di concentrarci sulla ‘testa’ (com’è stato fatto per tutto il secolo scorso seguendo la hit-culture) noteremo due cose:

1. che essendo asintotica, la curva non raggiunge mai lo zero.

2. esiste una miriade di non-hit che singolarmente sarebbero trascurabili, ma la somma delle loro vendite diventa invece significante.

L’incredibile è che non solo sono stati ampliati i mercati esistenti, ma probabilmente ne sono nati di nuovi scoprendo nicchie latenti o addirittura generandone di nuove.

La coda lunga può essere sfruttata un po’ ovunque: da eBay, per i prodotti usati, a Google con gli inserzionisti del suo programma AdSense.

Figura 2: Le tre forze della coda lunga in sintesi [15]


In quasi tutti i mercati esistono più prodotti di nicchia che hit. I primi continuano a crescere vertiginosamente grazie al diffondersi di tecnologie per la produzione di contenuti in maniera economica (ad es.: Final Cut per montare video, Photoshop per l’editing fotografico e la grafica). Si tratta di quella che per Anderson è la “democratizzazione degli strumenti produttivi”: oggi chiunque può creare un cortometraggio o incidere una canzone e sono in moltissimi a farlo. Altri ancora pubblicano sul loro blog potendo raggiungere un pubblico potenzialmente molto più alto di quello di un quotidiano locale a stampa. Ci troviamo nell’era di quelli che Tapscott e Williams chiamano prosumers[16] (mashup di  producer/professional e consumer).

Il volume di contenuti prodotti aumenta molto rapidamente. Grazie al web 2.0 ci stiamo trasformando da consumatori passivi a produttori attivi e spesso lo facciamo solo per amore (il termine amatoriale la dice lunga). “[17] Questa è l’economia d’una moneta che spesso arriva a motivare quanto il denaro: la reputazione.

 

L’infinità di prodotti creata quotidianamente da un’infinità di individui fa allungare la coda verso destra, perché aumenta la varietà di prodotti disponibili.

Il web, inoltre, permette un collegamento più diretto tra offerta e domanda e “introduce i consumatori a […] nuovi prodotti,  [orientandone] la domanda giù per la coda”[18] e aiutandoli a scoprire l’offerta.

Un tempo per l’impresa era necessario spendere ingenti somme per il marketing, la pubblicità sui vari media e per “l’affitto di porzioni di scaffale” dalla grande distribuzione. Oggi non è strettamente necessario: può bastare che un forum di consumatori parli (possibilmente in maniera positiva) dei tuoi prodotti.[19] Al “Passaparola” – uno dei meccanismi più antichi nella storia della società umana – è infatti dato nuovo significato: i meccanismi di online feedback, noti anche come “sistemi di reputazione”, utilizzano l’incredibile capacità di comunicazione bidirezionale del web al fine di costruire delle reti su ampia scala di passaparola, attraverso le quali i consumatori condividono opinioni ed esperienze su prodotti, servizi e aziende intere.[20]

I consumatori sono un punto di riferimento ideale, i loro obiettivi sono simili a quelli degli altri consumatori e il fatto straordinario è che producono continuamente e in maniera autonoma, un’infinità di recensioni, informazioni e valutazioni per qualsiasi tipo di prodotto o servizio.

Quando cerchiamo un particolare prodotto su Internet, spesso lo troviamo più in fretta di quanto non immaginassimo. “Questo ha un potente effetto economico: ci incoraggia a continuare a cercare al di fuori del mondo a noi noto, e questa tendenza sposta la domanda verso le nicchie”[21].

Infine c’è “il taglio dei prezzi al consumo grazie alla democratizzazione della distribuzione[…], [si tratta della] differenza tra le frazioni di centesimi necessarie a diffondere contenuti online e i dollari che ci vogliono per distribuire con camion,  depositi e scaffali”[22]. E’ l’economia dei bit contro quella degli atomi.

Internet dà accesso quasi gratuito a chiunque voglia raggiungere milioni di potenziali clienti.