Fantasia, freschezza e simpatia; sono i nuovi valori con cui Fiat sta giocando le sue chances di rinascita. La qualità è cresciuta, i modelli si rinnovano con ritmo frequente e l’immagine generale del marchio è molto migliorata. Basta passare vicino ai concessionari per apprezzare la cura degli spazi espositivi o del grande stemma blu e argento che fa bella mostra di sé in cima a piloni e vetrine. Era il 26 ottobre 2006 quando la dirigenza decise di rinnovarlo, inserendolo per la prima volta nella Fiat Bravo nel 2007. Richiama quelli utilizzati dal gruppo dagli anni trenta fino alla fine degli anni sessanta.
La professione che si occupa di dare un marchio ad un’azienda è chiamata brand design. Di nuovo il design, vi chiederete. Ma non si tratta di grafica? Apparentemente. In realtà il logo è un segno, un simbolo che può diventare uno strumento potentissimo per il successo di un’azienda. Servono competenza in campo estetico, certo, ma anche nella comunicazione e nel marketing: in pratica il solito mix di conoscenze che abbiamo imparato a racchiudere nell’ampio respiro del termine design. Le automobili sono tra i prodotti con la maggiore visibilità per dimensione, frequenza di utilizzo e diffusione sul territorio; logico, quindi, che il disegno del marchio sia di enorme importanza e che sia trattato in modo scientifico.
Esiste comunque un lato poetico. Quasi tutte le case automobilistiche, infatti, hanno alle spalle oltre un secolo di storia e sono nate in epoche molto lontane dalle raffinate teorie di comunicazione che oggi regolano il mercato. L’ideazione del logo era spesso opera del fondatore, secondo il gusto personale, la moda del momento o per fatti secondari che hanno creato storie originali e spesso divertenti. Si dice, ad esempio, che William Durant, fondatore insieme al pilota svizzero Louis Chevrolet dell’omonima azienda, copiò il logo dalla carta da parati di un albergo di Parigi. Un’altra leggenda vuole invece che nel 1982, l’allora chief designer Mario Maioli si trovasse a passare sotto gli stabilimenti Fiat Mirafiori durante un black out; il profilo di un neon dell’insegna spenta gli ispirò il famoso disegno a rombi blu che sarebbe diventata la base per l’immagine coordinata di tutta l’azienda.
ROLLS ROYCE
Ma la storia più affascinante è senz’altro quella della statuetta Rolls-Royce “Spirit of Ecstasy”, questo il suo nome, probabilmente ispirata alla celebre Nike di Samotracia. Protagonista è il nobile barone di Beaulieu, appassionato di automobili e proprietario di una Rolls-Royce di cui desidera personalizzare il tappo del radiatore, una consuetudine scaramantica dei primi anni del Novecento. Commissiona la statuetta a Charles Sykes che la modella sulle forme della segretaria e probabile amante del barone, Eleanor Velasco Thornton, raffigurandola protesa in avanti e con le braccia distese.
Quelle che spesso vengono confuse con delle ali, sono in realtà le maniche della sua veste gonfiata dal vento, motivo per cui tra i tanti soprannomi dati alla statuetta, c’è anche l’ironico “Nelly in her Nighty” (“Nelly in camicia da notte”), o semplicemente “Emily”, il nome con cui veniva chiamata amichevolmente Eleanor. Secondo l’allora Direttore manageriale della Rolls-Royce, Claude Johnson, Lo “Spirit of Ecstasy” rappresentava l’estremo piacere della guida e apprezzò a tal punto l’opera di Sykes da sceglierla come marchio di fabbrica per tutte le sue automobili. E’ uno dei pochi arrivati quasi immutato sino ai giorni nostri.
STEMMI ITALIANI
Anche i marchi nostrani hanno mantenuto quasi immutato il loro disegno originario, con l’unica eccezione di Fiat. Alfa Romeo, ad esempio, deve il suo nome all’acronimo Anonima Lombarda Fabbrica Automobili e al cognome di Nicola Romeo, ingegnere e industriale che rileva la società nel 1915. Nel suo nobile stemma sono racchiusi due simboli milanesi: la croce rossa in campo bianco e il serpente visconteo che decora la torre del Filarete all’ingresso del Castello Sforzesco. L’idea venne ad un giovane disegnatore dell’Ufficio Tecnico, fermo ad aspettare il tram in Piazza Castello. Il logo della Lancia si deve invece al conte Biscaretti di Ruffia, già membro del gruppo di imprenditori che nel 1899 aveva creato la stessa Fiat. E’ una fortuna che questi marchi abbiano resistito alla tentazione di semplificare i propri loghi secondo le tendenze degli anni ottanta e novanta.
STEMMI ORIENTALI
Forse nel tentativo di imitare i celebrati marchi europei, ad esempio Mercedes, le giovani ma intraprendenti aziende giapponesi finirono con l’adottare loghi molto simili tra loro, al limite della banalità. Toyota, Lexus, Nissan, Subaru, Daihatsu, Mazda, ma anche i coreani Hyundai e Kia sembrano tutti variazioni dello stesso tema, per non parlare dei nuovi marchi cinesi come la Great Wall, molto simile all’indiana Tata. E’ un indice negativo del livello di omologazione che da sempre affligge questo settore, dominato dalla paura di osare e con un occhio sempre vigile all’operato del vicino. Qualcuno potrà obiettare, facendo osservare come la cultura orientale abbia radicati nel suo Dna quei valori di purezza e semplicità ben rappresentati da un anello cromato. E’ altrettanto vero, però, che il colore stia tornando prepotentemente alla ribalta come mezzo di comunicazione: lo hanno capito molto bene le compagnie di telefonia mobile che hanno scelto colori istituzionali forti e ben definiti per aiutare il pubblico a distinguerle nella moltitudine di offerte e campagne pubblicitarie.
LOTUS
Lo stesso ragionamento fece Colin Chapman, fondatore della Lotus. Progettando personalmente il proprio logo, scelse il classico verde che caratterizzava la produzione automobilistica inglese e il giallo, a simboleggiare i giorni di sole che si augurava per la propria neonata azienda. Ford è invece da sempre legata al blu, tradizionalmente associato a un’idea di sobria eleganza e modernità. Altri marchi hanno invece abbandonato il colore istituzionale, come è successo a Renault, con l’introduzione, nel 1992, del nuovo logo tridimensionale. La scelta del giallo risale al ’72, quando per la prima volta dalla storia della Casa francese ci si interessò all’immagine del logo. Per ben 25 anni, infatti, le vetture di Boulogne-Billancourt non erano caratterizzate in alcun modo all’esterno.
La famosa losanga è opera dell’artista Vasarely, famoso per le sperimentazioni nel visual design, che diede personalità ad una forma già esistente ispirata alle calandre dell’epoca. Chi ebbe sin dall’inizio le idee chiare fu André Citroën. Nell’aprile del 1900, ancora studente, visitò un’officina meccanica in grado di costruire ingranaggi bielicoidali, quelli, per intenderci, con il disegno dei galloni dei caporali. Intuì immediatamente il potenziale di quella che per l’epoca costituiva una vera innovazione e, acquisiti i diritti, avviò la sua prima e fortunata attività industriale.
Per la sua fabbrica di automobili scelse un logo ispirato all’ingranaggio, forse per semplice scaramanzia, ma che si distingueva nettamente dagli altri. Singolare la sua idea di sponsorizzare nel 1922 il rinnovo di tutti i cartelli stradali della Francia: in questo modo fece comparire il suo logo ovunque, assicurandosi un’immensa pubblicità! E’ rimasto pressoché invariato sino ai giorni nostri, ma sui modelli più recenti è integrato a listelle cromate che si estendono per tutta la larghezza del frontale. E’ facile capire il perché. Oggi la tendenza è quella di avere un aspetto importante e, complici le nuove normative sull’urto pedoni, il muso è sempre più alto e imponente.
RENAULT
I marchi francesi soffrono particolarmente la storica mancanza di una vera mascherina che ne identifichi il family feeling. Tutte stanno correndo ai ripari: Renault con le prese d’aria ai lati del logo e Peugeot inserendo il leone in un’apertura supplementare sul cofano che, ne siamo sicuri, diventerà via via sempre più grande. La loro conquista era stata proprio la rinuncia alla classica calandra, retaggio di un passato nostalgico e pomposo, in favore di una modernità che, a dire il vero, danneggiò seriamente tutto il prestigio costruito agli albori dell’industria automobilistica. Ne guadagnarono i marchi dall’aspetto più classico, come Bmw, Mercedes o Audi, senza dimenticare che proprio quest’ultima è responsabile della moda attuale che vuole la calandra a tutta altezza.
Quella del marchio tedesco è un’intelligente citazione di sé stessa, dei tempi in cui le Auto Union a 16 cilindri trionfavano nelle competizioni più importanti. E i quattro anelli? Rappresentano le aziende fuse nel 1932: Audi, Horch, DKW e Wanderer. La storia alle spalle è colorita: August Horch fonda l’omonima fabbrica nel 1899, ma viene allontanato per una divergenza con il Direttore Commerciale. Crea allora la “August Horch”, nel 1909, ma gli viene impedito di usare il suo nome. Un nipote che studia latino gli suggerisce di tradurre il cognome, che in tedesco significa “ascolta”, nel latino “Audi”, per evitare ogni controversia legale. Sarà la crisi economica della fine degli anni venti a far riunire le due aziende.
LAMBORGHINI PORSCHE SAAB MECEDES E CASE GIAPPONESI
Non tutti i loghi nascondono particolari significati. Quello della Porsche è semplicemente lo stemma della città di Stuttgart, mentre il bellissimo tridente Maserati, opera di Mario, il sesto dei fratelli, pittore e artista, si ispira alla fontana del Nettuno di Bologna. Il toro Lamborghini è il segno zodiacale del fondatore Ferruccio, nato il 28 Aprile, che ha dato anche l’idea per i nomi di quasi tutte le vetture, appartenenti a razze da combattimento. BMW rende omaggio ai suoi inizi in campo aeronautico con il cerchio diviso in quattro parti bianche e blu, un’elica stilizzata con i colori della Baviera. Anche il logo Saab, inserito nella calandra, vuole ricordare il profilo di un aereo.
L’azienda venne fondata per fornire aerei da guerra all’Aeronautica Svedese e quando fu chiaro che c’erano le basi tecniche per iniziare una produzione automobilistica, vennero selezionati quindici ingegneri aeronautici che realizzarono l’innovativa e affusolata 92001.
La supremazia in questo settore è rappresentata anche da una delle tre punte della stella Mercedes, mentre le altre simboleggiano i successi sulla terra e sul mare. Venne poi affiancata dalla corona d’alloro, per rappresentare l’unione con Benz nel ’26, fino alla versione stilizzata attuale della stella nell’anello, apparsa per la prima volta nel 1937. Toyota ha scelto una simbologia molto più fredda: i tre ellissi che si intersecano rappresentano il cuore del consumatore e quello del prodotto, circondati dal mercato.
Mitsubishi è invece una delle poche case giapponesi a non aver adottato un logo circolare o ellittico, ma rimane il riferimento alle attività industriali precedenti o parallele, in questo caso nel settore nautico. Stilisticamente ricorda l’elica di una nave e il suo nome significa “tre rombi”, ma anche “tre diamanti”.
DODGE E FERRARI
Esiste poi il filone dei disegni ispirati al mondo animale, una fonte da cui attingere ogni volta che si cerchi di esprimere precise caratteristiche di potenza e velocità. E’ il caso di molti marchi americani come Dodge, con la sua testa d’ariete a simboleggiare l’apprezzata robustezza sin dai suoi primi passi nell’industria militare statunitense. Altre volte il logo è creato per un modello, ad esempio la Viper o il celeberrimo purosangue in corsa della mitica Mustang. Il cavallo più famoso è però nato in terre modenesi.
La storia del marchio Ferrari è affascinante come quella sportiva e nasce da un’altra leggenda italiana, quella dell’asso dell’Aviazione Italiana Francesco Baracca, eroe della Prima Guerra Mondiale. Il suo Spad XIII, prodotto in licenza dalla Macchi, fu uno dei migliori caccia del conflitto: è sulla carlinga che l’aviatore aveva fatto dipingere il famoso cavallo nero. A cinque anni dalla sua morte, la madre di Baracca chiese al giovane Ferrari di mettere il “cavallino rampante” sulle sue macchine come portafortuna e lui accettò, forse memore del primo incontro con il padre di Baracca, sul circuito del Savio, a Ravenna, vinto proprio dal giovane pilota modenese.
Aggiunse solo il fondo giallo canarino, il colore della sua città. Apparve sulle vetture solo nel ’32, perché prima di allora la scuderia correva con le Alfa Romeo e non apparve sul cofano prima del ’47. Nel ’52 Ferrari decise di distinguere le vetture ufficiali da quelle dei moltissimi privati, ripristinando il vecchio scudetto giallo e il suo debutto con le 500 F2 impegnate al Gran Premio di Siracusa vide i suoi piloti Ascari, Taruffi e Farina occupare le prime tre posizioni al traguardo.
Il cavallino cromato sul radiatore apparve nel ’59, mentre la sua versione in rilievo, accolta inizialmente con pochi entusiasmi, è usata tuttora. Come abbiamo visto, in un marchio è racchiusa la storia dell’azienda, ci parla di come si pone nei confronti della clientela e spesso lancia segnali sulle intenzioni per il futuro.