Twitter vs Google+: storytelling, SpongeBob e i diversi contesti social

L’entrata di Google+ nell’affollato mercato dei social network comporta, inevitabilmente, analisi e comparazioni di ogni sorta e tipo con i servizi concorrenti. Quest’oggi vi propongo un’interessante analisi condotta da ReadWriteWeb sullo storytelling (ovvero la creazione, costruzione e diffusione di narrazioni) in ambito social, mettendo a confronto Google+ con Twitter.

La riflessione parte con l’annuncio da parte della Nickelodeon di una simpatica iniziativa: alcune nuove storie speciali di SpongeBob SquarePants (simpatico personaggio dei cartoni animati a forma di spugna di mare) arriveranno tramite Twitter, creando una “Twitter-tale” con tweet ed immagini scandite durante la giornata dal 12 al 15 Luglio. Molti di voi alzeranno gli occhi al cielo, ma ricordatevi che gli amanti adulti dei cartoni animati sono ancora tanti.

La domanda è quindi questa: le esperienze di storytelling già sperimentate con successo su Twitter e Facebook arriveranno anche su Google+? Quali forme assumeranno e avranno la stessa flessibilità di sviluppo/diffusione?

Per quanto riguarda Twitter, sono molte le compagnie che hanno sfruttato il servizio di microblogging per raccontare e diffondere le proprie storie, intrattenendo gli utenti con la richiesta di collaborazione. Gli esempi più creativi e divertenti su Twitter non mancano: i racconti di James Joyce e Shakespeare riportati in brevi frammenti e i progetti di crowdsourcing (ovvero raccolta di materiale prodotto da più persone insieme) portati avanti da Neil Gaiman e Tim Burton sono alcune delle esperienze più riuscite.

In questo senso Twitter ha tutte le caratteristiche più consone: la natura pubblica del servizio, l’utilizzo di hashtag e la velocità di diffusione dei fenomeni sono elementi vincenti. Audrey Watters di ReadWriteWeb ha avuto modo di testare l’esperienza su Google+: è stata taggata in un post che inaugura il “Saturday Story Circle”, ovvero la condivisione di una piccola storia taggando man mano altri utenti, così che possano aggiungersi e scrivere nei commenti. Per identificare l’esperimento, è stato utilizzato anche un hashtag: #StoryCircle.

L’esperienza su Google+ non differisce dai meme e dai tentativi già effettuati su Facebook negli status e l’utilizzo di una hashtag per identificare un trend riporta a Twitter, quindi a qualcosa che già esiste e funziona. Se tralasciamo gli hashtag, come terremo traccia delle storie e dei meme nati su Google+? Nasceranno nuovi sistemi convenzionali? Google+ ha introdotto una nuova concezione di networking e cronologia: i post, ad esempio, non sono un semplice stream come avviene su Twitter. I commenti riportano i post in alto nei feed, rendendoli nuovamente visibili.

La condivisione delle storie è più controllabile sotto l’aspetto della condivisione: può rimanere chiusa ad un gruppo selezionato di utenti, mentre su Twitter si privilegia l’apertura. In conclusione, lo storytelling su Google+ non è nulla di nuovo, assomiglia molto al blogging e consente ancora forme collaborative limitate. In futuro potrebbe sviluppare un proprio trend.